Scrittore e regista italiano, Mario Soldati, dopo avere insegnato negli Stati Uniti, torna in Italia nel 1931 e intraprende la carriera di scrittore e di sceneggiatore (collabora alla stesura delle commedie La tavola dei poveri, 1932, di A. Blasetti e Il signor Max, 1937, di M. Camerini). Dopo alcune coregie, debutta da solo dietro la mdp con Dora Nelson (1939), sofisticato esempio di cinema dei «telefoni bianchi». Il suo cinema è ricco dal punto di vista figurativo e si distingue da buona parte delle produzioni italiane del periodo per la ferma attenzione che il regista pone al paesaggio, da lui visto non come parte ma come sostanza del racconto: in questo senso due opere come Piccolo mondo antico (1941) e Malombra (1942) rappresentano le vette di quel cinema poetico e calligrafico che segna gli anni della guerra e precede l'avvento delle poetiche neorealiste. Soldati dirige numerosi film, dimostrandosi narratore poliedrico e a proprio agio con la commedia (perfetto il suo cinismo e la cura dell'ambientazione di Le miserie del signor Travet, 1946), il dramma (Fuga in Francia, 1948, con venature neorealiste) e soprattutto il melodramma: La provinciale (1952) e La donna del fiume (1954), che rappresentano il meglio della sua ultima produzione. A partire dagli anni '60 si allontana dalla scena cinematografica privilegiando la carriera di scrittore. È autore del libro Ventiquattro ore in uno studio cinematografico (1935), in cui racconta la giornata della troupe di un film.
Esordìcome scrittore con la commedia Pilato (1924), ma si impose all’attenzione della critica con il libro di racconti Salmace (1929) e soprattutto col felicissimo diario del suo soggiorno negli Stati Uniti (come insegnante alla Columbia University, 1929-31), America primo amore (1935). Seguì una fortunata carriera letteraria, nel corso della quale mise a punto un suo particolare gusto tra morbido e bizzarro, tra romantico e amante dell’intrigo. Esiti di singolare vivacità e leggerezza ottenne, per es., con La verità sul caso Motta (1937), un libro ricco di implicazioni, tra il giallo, il grottesco e il metafisico. Le opere successive, sempre segnate dal guizzo di un innegabile talento narrativo e di una intelligenza sottilmente ironica, alternano recuperi strutturali di ascendenza ottocentesca con più audaci aperture neorealistiche. Tra i suoi libri si ricordano: A cena col commendatore (tre racconti, 1950), Le lettere da Capri (1953, premio Strega), Il vero Silvestri (1957), Le due città (1964), La busta arancione (1966), I racconti del maresciallo (1967); e inoltre L’attore (1970, premio Campiello), Un prato di papaveri (1973), Lo smeraldo (1974), Lo specchio inclinato (1975), La sposa americana (1978), Addio diletta Amelia (1979), Nuovi racconti del maresciallo (1984). Le doti di moralista beffardo e sentimentale, di indagatore scaltro di caratteri e di casi umani si ritrovano intatte anche nelle opere più tarde, sia pure mitigate dallo spazio sempre maggiore concesso al dato autobiografico e dall’attenzione riservata a persone ed eventi del contesto a lui familiare. Così è nei romanzi L’incendio (1981) e L’architetto (1985) e nei racconti de La casa del perché (1982). Più orientato verso l’affresco corale appare El Paseo de Gracia (1987), romanzo assai composito giocato su un gran numero di situazioni e personaggi trattati con la consueta verve narrativa. Tra le altre opere si ricordano il libro di memorie L’avventura in Valtellina (1986), il racconto, iniziato negli anni ’30, La confessione (1991), e La finestra (1991).
Fonte immagine: copertina del volume Romanzi brevi e racconti (Mondadori 2009)